Il museo a Palazzo Mocenigo (clicca qui per leggere di più) è una piccola chicca che consente di immergersi come per magia in tutte le declinazioni del Settecento veneziano.
Il Settecento è stato a Venezia un secolo di forti contraddizioni, lusso e sfarzo da un lato, declino e decadenza dall’altro, tracollo economico da un lato ed esplosione delle arti dall’altro. Questo secondo aspetto è molto ben rappresentato a Palazzo Mocenigo: le arti maggiori negli affreschi e nei dipinti, le arti minori nel vetro dei lampadari e degli specchi di Murano, nel merletto di Burano delle tovaglie, nei tessuti degli straordinari abiti originali, nei profumi e nelle essenze di flaconi, boccette e bottigliette.
Ci accolgono nelle sale manichini di nobildonne che intrecciano una amabile conversazione mentre sorseggiano una tazza di una bevanda esotica, nobiluomini nell’atto di giocare a carte, pensando di aver la stoffa dell’abile giocatore e l’asso nella manica, servitori in livrea che apparecchiano la tavola nella sala da pranzo, persi nei loro pensieri aggrovigliati non essendo nati con la camicia e dovendo tirarsi su le maniche. Perché aimè i loro padroni non sono di manica larga.
ANDRIENNE
L’abito che forse incarna al meglio lo spirito della metà del secolo è l’andrienne o robe à la française.
Il tessuto dell’andrienne è formato da fasce verdi e rosa in senso verticale, con piccoli tralci verdi su base verde, il decoro segue un andamento ondulato e verticale, tipico del gusto dell’epoca. Riconoscibile il caratteristico panneggio, strascico di stoffa sul retro che parte dalle spalle.
7 sono i teli di stoffa usati, qui non serve mettere nessuna pezza!
Le maniche sono a pagoda, corte al gomito con doppio polsino, dal collo ed dal seno fuoriescono trionfi di merletti e pizzi, la passamaneria è ad antenne di maggiolino.
L’abito esposto segna l’apice della produzione sartoriale veneziana, dobbiamo davvero tessere le lodi dell’anonimo sarto. Tanto di cappello!
A metà del Settecento vanno molto di moda in Francia i paniers, cerchi a forma di gabbia, realizzati in vimini e posti sui fianchi per sottolineare la vita sottile (con stecche di balena). L’ampiezza della gonna è spesso controbilanciata dalle dimensioni della parrucca.
ROBE À L’ANGLAISE
Sul finire del secolo si diffonde la moda inglese. L’abito à l’anglaise è meno sfarzoso, più informale. La parte anteriore termina in una punta, mentre nella parte posteriore il tessuto forma un rigonfiamento; il dorso del corpino è aderente e manca il telo pieghettato dell’andrienne.
RENDIGOTTE
L’abito rendigotte (riding coat) si ispira al soprabito maschile da caccia. Anche qui manca il drappeggio sulla schiena; le linee di semplificano, la gonna è meno voluminosa, le maniche sono lunghe e non più solo fino al gomito, gli sbuffi di merletti sono ridotti come il pizzo attorno al collo.
Insomma proprio un altro paio di maniche!
Il tessuto è senza particolari decorazioni, a colori uniti, senza coda. In altri modelli la gonna poteva essere aperta sul davanti a mostrare la sottogonna di colore contrastante.
Graziosi sono i 3 bottoni in acciaio con stellina al centro. Ma non voglio proprio attaccare bottone ora e neppure perdere il filo del discorso!
COMPLETO DA UOMO
Il completo da uomo prevede una marsina, una sottomarsina (velada) e calzoni fino al ginocchio, calze possibilmente di seta. In origine la marsina era formata da un tessuto operato a telaio, nel corso del secolo si accorcia e viene ricamato a mano sulla parte anteriore.
CORSETTI
La sala degli stucchi presenta un tableau vivant di nobildonne che conversano con un fil di voce strette nei loro corsetti che davano loro tanto filo da torcere! In uno di essi è cucito internamente un taschino per nascondere missive e dichiarazioni di amore.
TOGA E PARRUCCA
Il fiore all’occhiello del Salotto Rosso è la toga con stola da Procuratore con parrucca, accanto al nobiluomo seduto che segue le fila del ragionamento dell’amico, senza tuttavia voler disquisire e cercare l’ago nel pagliaio come lui.
La toga è in damasco rosso porpora con larghi fogliami e maniche pendenti ‘alla dogalina’, mentre la stola in velluto alto basso con decorazione a candelabra.
Luigi XIII che soffriva di calvizia fin da giovane, introdusse la moda della parrucca, che poi si impose definitivamente con il Re Sole. Questa moda stravagante e frivola giunge a Venezia da Parigi a fine Settecento con il Conte Collalto, inizialmente osteggiata e malvista, anzi vietata dalla Repubblica, per poi imporsi come esempio di attacco alla vanità, in quanto obbliga a radersi o quasi. Insomma siamo sul filo del rasoio …
La parrucca era in genere fatta con capelli umani o crini di cavallo, questa in pelo di yak non è originale. Solo in un secondo momento la parrucca viene indossata anche dalle signore. Diventano delle enormi impalcature con nastri, fiori ed uccelli, perfino con sistemi meccanici per entrare ed uscire dalla carrozza.
Con la cipria, farina di riso o altri vegetali, veniva poi schiarita, bianca o grigia per gli uomini e rosa, celeste o lillà per la donna.
La cura della persona era maniacale, se non si veniva visti, non si esisteva. L’abito doveva dimostrare non solo l’eleganza, ma anche la ricchezza. L’abito faceva il monaco! Anche le bimbe ricevevano questo imprinting fin da piccole, il filo segue l’ago.
Mi auguro che la trama di questo piccolo articolo Vi abbia incuriosito e Vi sia da spunto per una visita e riflettere su come la tessitura sia una parte integrante della nostra storia e vita.
Fiona Giusto